Nombre y apellido |
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Egisto Malfatti |
Venti a' golfi e buriane e 'un c'è bisogno dello strumento per veninne alla conoscenza,
perché se l'uomo è di davvero chiavato per il mare, il sapere lo deve aver nel senso.
E sta barca via la crusca il culo te lo dice un bischero, fra mezz'ora en crespe di poppa.
Ma non esiste tempo trito, buriana, burasca, bufera, tropea, temporale, turbine, nembo,
vortice, fortuna, pampero, procella, tifone, ciclone, scione, uragano, maremoto
capace di piglia' alla sprovista Beppe della Finocchia, padrone di fogli e di sentimento.
E chi vuole intende', intenda. E qui piglio fiato.
A vento di troppo favore, occhio alla barca che troppo ti core.
È come se 'un lo sapessi, ma io figuriti...
Al mare incazzato, son bono di levanni il miccio di sotto le chiappe.
Che faccio? E me lo domandi anco?
Tempero le vele, sghinghero alberetti, 'maino pennoni delle velacce,
serro boccaporti, paro portelli, trinco l'artiglieria, stendo i passerini,
teso le sarte, arido i patrazi, metto i paranti di barcollamento,
piglio tersaroli alle gabbie, governo al maroso, cappeggio, poggio,
coro a secco, metto la pruga tra il filo e il traverso,
e alla prima potta do volta, perché "Potta sudata è mezza guadagnata".
E un occhio della coscienza su quell'altra mezza, 'un ce la vuoi chiude', eh?
Tanto, guarda, a no' altri marittimi, l'anni dell'inferno,
se li scala piano piano il mestiere. E qui piglio fiato.
Mare Ionio in tempesta, l'Adelaide non curante fida,
superate le Bocche faremo rotta per le Antille,
Nuova Caledonia, Vado, Civitavecchia, Oceano Indiano e mari della Cina.
Se al timoniere unni venghino i geloni, a' dditi in due settimane se la levamo.
Riempito il portolano di notizie incognite, utili, Ministero Marina.
Cristoforo Colombo, Cabotta, Marco Polo, Anton Di Noli,
Uso di Mare, Malocello e Beppe della Finocchia.
In fatto d'ardimento marino, dopo ve' sette lì, la storia 'un ne registra altri.
A me m'è a dà un conchino, un manio di granata, un lenzolo, un remo, un tappo che 'un trabui e all'Abetone no!
Ma basta che tu mi metti in mare, che anche per viaggio notturno il sottoscritto in Corsica
ti ci sbarca col manfano asciutto. E qui piglio fiato.
Ulteriore aggiornamento del libro di bordo.
Fori Portoferraio, avvistati relitti in naufragio: una seggiola e una cassetta d'aranci.
Trattavasi sicuramente di piroscafo rivolto alle Americhe.
Agguantato la seggiola con l'unghie tenacemente conficcate nei caviglioli,
vedevasi galeggiare un lucchese di Porta Elisa. Un cinese stava lì accanto,
anch'esso ancor più tenacemente aggrappato alla cassetta contenente l'aranci.
Causa vicinanza mastodontica balena artica, risultato impossibile agguantare i naufraghi
tramite calo scialuppa o gozzo che siasi. Lasciata passare nottata.
Alba sopraggiungendo, nulla più videsi fuorché mastodontica balena artica.
Arpionata la medesima con preciso colpo di folgoro,
issata a bordo e squartata dal cuoco con encomiabile perizia.
Cose da non credersi, ma fu ritrovato nella pancia del gigantesco cetaceo
il lucchese a sede' sulla seggiola che vendeva l'aranci al cinese.
E qui piglio fiato.
Al lume di petrolio Assunta, amata, verosia sposa diletta,
queste poche righe ti vergo. Abbada alle tue faccende, casa e messa la domenica
e 'un sorti che per la spesa, tanto per le strade 'un c'è da raccatta' che della polvere;
'un t'avvampa' alla vista del bagnante in braette che ti gira per le stanze per necessità d'affitto,
il lucchese è felino, riorditelo, e il pelo garba a tutti; 'un ti da' preoccupanza per i figlioli,
tanto en tutti masti: se passino bene, se non passino c'è lo sbruffo del mare che l'aspetta.
Tienni piuttosto alla buona salute, pane inzuppato nel latte per supporazione patereccio,
tira filo per calli e rincalliti, cucchiaino da caffè per Tappabuo provocato da Cimello di Pino.
Pertosse, orecchioni, morbillo, scarlattina, lingua col grumo, patacche in gola,
brugliori, cecchi, groste, palloccoli anguinali, mal di pancia, cataro, caarella, mosse di verbi,
'un c'è che l'anna da lavativo e a' dottori vanni in culo, tanto è tutto calore.
E se il varicocele di tu pa' Teofilo ne si dovesse ulteriormente allungare,
diciamo tanto per istabilire la misura fino al ginocchio,
te cucini subito due bottoni alle palle, tanto qualche occhiello libero alle mutande
lo trova sempre. E qui piglio fiato.
E a forza di piglia' fiato la barca di Beppe della Finocchia è attraccata al porto delle Neppie.
Fondo e limo sull'ancora. Semo arrivati. Una messa a Pasqua, pensione, casa e osteria.
Le braccia 'un en più al mare, la testa 'un è più al vento. Soltanto il cuore è sempre alla vela.
Nel bare del vecchio Pompidio,
al buio d'un cantuccio,
si gioca a tersilio,
c'è odor di bistrò.
Si bazzica gente alla mano,
si beve il quartuccio,
si fuma il toscano,
si chiacchiera un po'.
La Verona, il Talete, i gemelli,
l'Algerina, l'Amea di Corfu,
tutti i nomi di vare che putelli,
navigate nel tempo che fu.
C'è sempre, nel bare di Pompidio,
dal milleottocento,
lo stesso mobilio
e li stessi bicchier.
Meloria, Bastia, Capo Mele,
sul filo del vento
abbracciamo le vele
dei nostri pensier.
C'è il modello che fece Tistino,
d'un cinque alberi, un clipper e del tè;
e più in là Garibaldi Peppino
che a Teano si incontra col re.
È un bare di periferia
che in giorni lontani
chiamavi osteria
con semplicità.
Qui senza più drizze né scotta,
padroni e scrivani
preparin la rotta
per l'eternità.
Senti ancora parla' di Tamagno,
di Pio IX, di Geremia o Lenin.
Chiesarotto, realista o compagno,
ogni giorno t'attracchino lì.
Le ore quaggiù s'en fermate
sul chiaro tramonto
di un giorno d'estate
di cent'anni fa.
Sui visi, dal mare aggrinsiti,
c'è tutto il rimpianto
dei giorni puliti
di questa città.